venerdì 13 marzo 2009

LA TRISTE CONDIZIONE DELL'ITALIA

CANTO VI PURGATORIO

Ciacco, nell' Inferno, ha parlato di Firenze, qui l'autore parla dell'Italia, Giustiniano, in Paradiso, tratterà dell'Impero. La trattazione politica occupa la seconda metà del canto: nella prima, assistiamo a una calibrata preparazione del discorso. Esponi la lunga digressione dantesca
.

6 commenti:

IVE ha detto...

Il canto VI del purgatorio,cosi come quello delle altre cantiche tratta il tema politco.Durante il suo viaggio, l’incontro con Sordello scatena in Dante una forte polemica contro la frammentazione territoriale e politica che caratterizzava l’Italia in quel periodo. A questa frammentazione si aggiunge la debolezza dovuta a lotte esterne e all’assenza di un’autorità imperiale vigente.
Nel canto purgatoriale, a differenza delle altre cantiche,il discorso politico non coincide con il discorso del personaggio ma si presenta come una digressione del narratore come a commento di un evento particolare(l’abbraccio tra Sordello e Virgilio).Dante inizia esponendo la corruzione presente in Italia, emerge da qui l’incapacità ed il disinteresse da parte dell’imperatore, che provoca un’eccessiva attenzione da parte degli ecclesiastici verso il campo politico,non a loro competente.
Nella parte finale del canto,Firenze diventa il punto focale della riflessione dantesca : utilizzando un velo d’ironia dante infatti espone la grave decadenza in cui Firenze si trova in quel periodo.
Per quanto riguarda lo stile tutta l’invettive viene esposta attraverso numerose metafore e rappresentazioni allegoriche. In questo panorama civile e devastate l’unico filo di speranza sembra legato alla sapienza divina che potrebbe preparar il bene dal fondo della disgrazia umana.



Cullura’ Alessandra ,
Ganci Soanah
Miraglia Elisa IV E

IVE ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
IVE ha detto...

Canto VI
Come nell’Inferno e nel Paradiso, anche il canto sesto del Purgatorio è di ispirazione politica, e l’argomento trattato si pone come termine medio fra quelli delle altre due cantiche. Nella seconda metà del canto oggetto della riflessione politica di Dante è l’Italia, come si può notare al verso 76 con l’espressione “ahi serva Italia”, ad apertura dell’intera invettiva. Quest’ultima si può dividere in quattro parti: la prima si incentra sulla descrizione di un’Italia lacerata da guerre, ostilità, ingiustizie, “ostello di dolore, nave senza timoniere durante la tempesta”. Dopo l’apostrofe all’Italia, Dante sposta i suoi accenti sulla Chiesa. Egli qui condanna il temporalismo ecclesiastico, partendo dal principio che il Papa non è forte di diritto, se non in un contesto che governa i rapporti fra i credenti. Il tema religioso viene ripreso al verso 118, con l’invocazione di Gesù Cristo (sommo Giove) che dopo aver liberato già una volta l’umanità dal peccato sembra averla abbandonata al suo destino di miseria e conflittualità. Tra le due parti a sfondo religioso troviamo l’invettiva contro l’imperatore Alberto d’Austria il quale per ricostruire il regno di Germania rinunciò ad esercitare il suo potere sull’Italia. Qui Dante lo chiama “tedesco” per evidenziare il distacco fra l’impero e l’Italia, lasciata al completo abbandono. Riferendosi sempre all’imperatore, Dante lo invita a prendersi carico delle sue responsabilità per mediare alla situazione in cui giacciono le città italiane, come ad esempio la città di Roma che è vista come una vedova sola, che durante le ore notturne piange colui che l’ha abbandonata. L’invettiva si conclude con un’apostrofe su Firenze. Questi versi sono presentati in modo sarcastico e ironico per sottolineare la critica sulle istituzioni e sul potere nella città di Firenze, denunciandone l’ambizione, l’avidità, la fragilità della sua gente corrotta.

Sara Fichera, Leo Lizzio
Serena Romeo
Manuela Stiro

IVE ha detto...

Nel VI canto del Purgatorio come in ogni cantica troviamo un’invettiva. Nel VI canto dell’Inferno vi è un’invettiva contro Firenze, invece nel VI canto del Purgatorio, Dante attua una lunga digressione partendo dall’ Italia in generale e arrivando a Firenze. L’invettiva è scatenata dall’incontro tra i due poeti: Virgilio e Sordello, i quali diventano simbolo della fratellanza e dell’amore che vi dovrebbe essere tra gli abitanti di una stessa città. Dante inizia l’invettiva criticando l’Italia,poiché serva in quanto corrotta e soggetta ad usurpatori del potere supremo, priva di un’ imperatore a capo. Infatti vi furono tante guerre che sconvolsero i cittadini, portandoli ad un odio reciproco. Solo con l’imperatore Giustiniano vi furono applicate delle nuove leggi che diedero riassetto al caos romano, mentre si appropriarono abusivamente del potere gli uomini di chiesa incapaci di guidare l’Italia divenuta destriero ingovernabile. Anche l’imperatore Alberto I non fu capace di risollevare le sorti d’Italia poiché impegnato con il padre Rodolfo d’Asburgo a fare nuove conquiste in Germania, lasciò l’Italia in mano ai nemici e quindi Dante lo esorta a tornare e a rendersi conto della devastazione provocata dalle guerre civili causate dalla sua assenza. Giunge perfino ad implorare Dio, come sommo Giove (continuità tra mondo cristiano e mondo romano), chiedendogli di rivolgere il suo sguardo alla situazione dell’Italia. Dante conclude l’invettiva rivolgendosi con sarcasmo ed ironia alla città di Firenze, piena di corruzione nei suoi abitanti,assetati di potere e di ricchezza. Egli mette in rilievo la breve durata della leggi emanate a causa dei continui mutamenti politici facendo un raffronto con Atene e Sparta. Infine paragona Firenze ad un’ammalata, che si agita continuamente tentando invano di trovare sollievo.

Valentina Bucalo
Claudio Calcagno
Simona Sorbello IV E

IVE ha detto...

Così come nell’inferno, anche l canto sesto del Purgatorio è incentrato su un’invettiva politica, rivolta all’Italia, alla Chiesa e all’Impero.
Dante si trova nell’Antipurgatorio e assiste all’abbraccio fra Virgilio e Bordello, due concittadini uniti dalla solidarietà: questo sentimento, di cui la penisola difetta, diventa espediente per far iniziare al poeta la sua critica.
Rivolgendosi alla serva Italia, la definisce corrotta e abbandonata a se stessa come una nave senza nocchiero in gran tempesta. Il suo trono è infatti vuoto, l’imperatore Alberto d’Asburgo ha rivolto altrove la sua attenzione lasciando inselvatichire il “giardino” d’Europa, ovvero la penisola che sarebbe potuta essere l’orgoglio dell’Impero. In nessuna parte d’Italia regna la pace, quasi l’opera dei grandi del passato, come l’opera di legislazione di Giustiniano, fosse stata vana. Anche Roma piange, invocando la presenza del suo Cesare, di un degno accompagnatore delle sue sorti: la capitale, sede dell’antico splendore italico, è abbandonata a se stessa e non vede nella situazione attuale un adeguato detentore del potere. Anche la Chiesa infierisce sulle condizioni della patria dei poeti: anziché fungere da mitigatrice, in quanto istituzione religiosa, ostenta una lotta con i governanti per la detenzione del controllo sui territori europei. Dante conclude infine la sua arringa rivolgendosi a Firenze, nucleo degli scompensi e con una popolazione altrettanto degna di rimproveri. I fiorentini sono difatti costantemente divisi in fazioni, pronti a contendersi il potere pubblico e con una legislazione talmente debole che talvolta la sorte di una legge dura poco più di qualche settimana. La parte finale dell’invettiva è tuttavia lasciata all’intuizione del lettore: la critica alla città toscana è difatti coperta da una cortina di sarcasmo, che arriva a far paragonare Sparta e Atene con la patria dell’Alighieri!
Tuttavia Dante non cela una minima dose di ottimismo: cha sia tutto questo trambusto seme di un futuro bene ancora lontano da lui e i suoi contemporanei?

Natasha!

IVE ha detto...

Dante, quale uomo dedito alla politica, riflette la propria esperienza in questo campo in tutta la divina commedia ed in particolare nei canti sesti delle tre cantiche, interamente e volutamente dedicati al tema dell’invettiva politica. Tale critica, già inizialmente sviluppata nell’Inferno in seguito all’incontro con Ciacco (rivelatore della profezia sull’esilio del poeta) improntato sul dialogo tra i due riguardo gli scontri e le lotte che intorno al 1300 incombevano su Firenze, verrà ora ripreso nell’Antipurgatorio, spostando però l’oggetto della critica da Firenze alla situazione generale dell’Italia. Il poeta darà inizio alla realizzazione del quadro socio-politico della penisola, dipingendo la figura del “Bel Paese” mediante l’uso di crude metafore: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincia, ma bordello!…”, per procedere con tono sempre più severo ad un’apostrofe nei confronti degli ecclesiastici e dell’Imperatore: i primi in quanto non unicamente dedicati a questioni di carattere spirituale ma anche a vicende politiche, mentre il secondo poiché intento alla risoluzione di problemi in territorio germanico e non piuttosto a quelli della Penisola.
Dopo aver violentemente ammonito l’inadeguato comportamento del Sovrano e averlo personalmente invitato a recarsi in Italia, Dante arriverà ad interpellare Dio stesso, chiedendo se il suo sguardo e i suoi interessi fossero rivolti altrove o se in tutte quelle tragiche vicende, in tutti quei mali si celasse l’embrione di un futuro bene ancora (purtroppo) non chiaro.
In conclusione del canto, il poeta riprenderà la tematica fiorentina paragonando la sua città ad un’inferma che nel letto si gira da un lato e dall’altro non riuscendo però ad alleviare le sue sofferenze, così come fa appunto Firenze, accecata e rallegrata dall’idea di possedere ricchezza, pace e uomini saggi al governo (tutte e tre doti e qualità che di fatto però non ha). Dante è pertanto consapevole della realtà in cui si vive e in qui lui stesso vive ed è legato: egli infatti esprimerà il suo scontento ironizzando sui “sottili provvedimenti” che la città prende, paragonandoli a quelle antiche leggi che avevano portato Licurgo e Solone a governare in maniera così saggia su Sparta e Atene. Al contrario i provvedimenti trecenteschi avranno esigua durata e verranno frequentemente annullati a dimostrazione della fragilità e delle turbolenze delle strutture politiche del periodo.

Francesca De Giorgio
Maria Maccherone
Laura Pennisi