La tormentata riflessione di Pier delle Vigne ripercorre l'aggrovigliato nodo di pensieri che ha trasformato la vittima in un iniquo carnefice di se stesso(ingiusto fece me contra me giusto).Egli riproduce insomma il male da cui è stato colpito, ma, rifiutandosi di esrcitarlo su altri (egli era pur sempre un uomo giusto), finisce di rivolgerlo contro la propria persona. Il suicidio: un diritto inalienabile dell'individuo, padrone di sè e della propria vita, per gli antichi; un peccato mortale per i cristiani; l'estrema affermazione di sè o la protesta contro il mondo ostile per i romantici, l'assunzione della sconfitta individuale dell'uomo che non accetta la propria condizione esistenziale per la cultura del Novecento. Esprimi un tuo parere su questo tema esistenziale e culturale.
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Invio url del sito www.silviobenedetto.com/sb/it/divcom inferno.htm
troverete l'immagine di Pier della Vigna
La prof
“Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;
non pomi v’eran, ma stecchi e con tòsco (…)”
al principiare del tredicesimo canto, attraverso tre negazioni che rappresentano un mondo stravolto e funesto, Dante ci dipinge il paesaggio che si ritrova dinanzi. Ma non sarà soltanto questo a colpire l’attenzione del nostro sommo poeta. Giungono infatti urla e lamenti senza che intorno si scorga alcuna presenza. I suoni provengono dalla selva, sede del secondo girone nonché ospite di suicidi e scialacquatori, entrambi dilapidatori, chi di vita e chi di beni. Una selva di dannati, “fatta” di dannati! Le anime dei suicidi stanno infatti lì, intrappolate nei tronchi degli alberi, poiché è questa la pena da scontare per coloro che hanno rinunciato alla propria vita. Dal ramo che dante ha spezzato comincia a sgorgare sangue e si leva una voce dolorante. È l’anima di Pier della Vigna, il capitano entrato nelle grazie di Federico II dopo aver concluso i suoi studi in giurisprudenza. Riuscì a guadagnarsi in breve tempo la fiducia del suo imperatore, fino ad ottenere il titolo di pronotaro e logogete, due delle cariche più importanti dell’epoca. Fu inoltre un modello all’interno delle scuole di retorica. Ma tanti meriti non possono che condurre a invidia. Voci giungono a Federico II, che comincia a valutare diversamente il suo in realtà fedele servitore. Traditore!, è l’accusa per Pier della Vigna, che si toglie la vita dopo esser stato addirittura carcerato e accecato. Come Dante stesso ci comunica, i suoi onori si mutarono in sventure, e da uomo giusto quale era si ritrova imprigionato dentro un albero infernale, vittima di quegli invidiosi che l’inferno attende. È così che Dante immagina l’eternità dei suicidi, prigionieri di una “vita” da “non vivere”, intrappolati dentro corpi inanimati. L’autore ci fa così capire come era interpretato l’atte del togliersi la vita ai suoi contemporanei: uomini giusti e uomini indegni vengono condannati in ugual modo poiché comunque violatori della volontà di Dio. Di certo non sarebbero d’accordo con l’Alighieri tutti quei personaggi dell’antichità per cui il suicidio era quasi un’onorificenza, un gesto che richiedeva l’impiego di estremo coraggio! A partire da Achille, che si imbarca ugualmente per Troia, consapevole di andar così ad abbracciare il suo destino di morte. Il suo coraggio, come lui ben sa, porterà al termine la sua vita, ma con questo “suicidio indiretto” si garantirà onore e gloria ai posteri. E se il suo obiettivo era la fama, c’è chi ha affrontato il suicidio con spirito di protesta e richiesta di giustizia. Ci insegnano questo il greco Socrate e il romano Seneca, l’uno condannato dalla polis, l’altro perito sotto il regno del ribelle Nerone. Socrate, per cui la morte consiste in un “cambiar sede” per riconciliarsi con i suoi predecessori, vede il suo suicidio come una consolazione, tra l’altro con ingiusto poiché imposto e non volontario. Affronta il suo destino serenamente, circondato dai suoi amici e restando fedele ai suoi ideali fino alla fine, rifiutando l’opportunità di scampare alla morte. “vivi subito!” è invece il motto di Seneca in risposta alla fugacità della vita. Costretto dalle circostanze, ringrazia Giove per avergli dato i mezzi per morire volontariamente. Tuttavia questi filosofi, nonché anche Catone L’Uticense, non vengono collocati tra i suicidi dell’inferno di Dante, così come Didone e Cleopatra: i primi per meriti, le ultime per colpe differenti e maggiori, hanno meritato altre collocazioni.
Da onore nei tempi antichi, a condanna nel 1300, vedremo ora come la tematica del suicidio verrà affrontata nei secoli a venire. Facendo un lungo salto e atterrando nel 1700, troviamo in letteratura due romanzi riconducibili al nostro percorso: “I dolori del giovane Werther”, condannato e giudicato immorale per l’ondata di suicidi che fece seguito alla sua pubblicazione in Germania, e il romanzo epistolare di Foscolo, “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, nel quale il protagonista (come del resto anche nel suo contemporaneo tedesco) si suicida deluso dalle sue condizioni. Quindi il suicidio p quasi interpretato come una fine alle sofferenze della vita! Nell’800 parleranno si suicidio il poeta Leopardi e il filosofo Schopenhauer. Il primo interpreta il togliersi la vita in un primo momento come qualcosa di levito, successivamente come un gesto di codardia di fronte alle difficoltà del proprio cammino, che arreca solo dolore ai cari. Schopenhauer non è da meno, che condanna il suicidio come azione inutile e stolta. Ma ciò non basta a dissuadere i loro contemporanei: deluso dai suoi insuccessi e incompreso persino da se stesso, l’artista Van Gogh si toglie la vita.
Infine nel 900 saranno originali le conclusioni di Pirandello: l’uomo non ha via d’uscita se non con il delitto o con il suicidio, a meno che non si finga pazzo ed esprima liberamente le proprie idee o si rassegni alle imposizioni altrui. Il suicidio, quindi, torna ad essere “mezzo” per raggiungere in qualche modo la “libertà”.
Conclude il secolo Ungaretti, prendendo come esempio il suicidio del suo amico Mohammed Scaeb e interpretandolo come gesto di resa e di rinuncia.
Natasha!
Il suicidio è un tema ripetutamente ripreso nella letteratura. E’ considerato uno tra i peggiori tra i peccati, tanto che è stato ripreso anche da Dante nella “Divina Commedia”. I suicidi sono collocati nel VII cerchio del II girone dell’inferno insieme agli scialacquatori (coloro che in vita hanno dissipato le loro ricchezze). Un esempio di suicida, presente nella Divina Commedia, è Pier delle Vigne, consigliere fedele di Federico II di Svevia. Nel 1248 venne accusato ingiustamente di tradimento e per la vergogna si uccise. Fin dai tempi più antichi, con Socrate (399 a.C.) e Seneca (4 a.C-65d.C.), il suicidio era visto come qualcosa che andava contro il volere degli Dei, visto che gli uomini erano proprietà di questi. Nel 600, invece, il suicidio era visto come una forma di “eroismo”, poiché chi si suicidava affrontava impavidamente la morte. Il 700 è l’epoca del Romanticismo, vengono affrontati i temi dell’amore e della passione, alternati a momenti di sconforto e depressione che spesso portano il personaggio ad uccidersi, gesto che viene interpretato come una forma di debolezza, poiché, lasciarsi morire è troppo facile invece di sopportare una vita piena di dolore. Nell’800, Leopardi, in un primo momento giustifica il suicidio contestando chi lo reputa un gesto contro natura; successivamente lo condannerà reputandolo un gesto di viltà davanti all’infelicità e alla noia. Quest’ ultimo concetto è ripreso da Schopnhauer che considera il suicidio un’azione inutile e stolta. Il 900 attraversato dalla corrente del Decadentismo, trova come maggiori letterati del periodo: Pirandello, che vede nel suicidio una via di uscita insieme al fingersi pazzo per esprimere liberamente le proprie idee. Ungaretti, invece, scrive una poesia in onore del suicidio di un amico, gesto visto come una forma di rinuncia e di arresa.
Valentina Bucalo
Elisa Miraglia III E
IL SUICIDIO
………………….“SUICIDIO” gesto di volontaria uccisione di se stesso…………………….
Il tema del suicidio è diffuso, anche ,come oggi nella letteratura di un tempo. Pier della Vigna ,originario di Capua , noto nel XIII canto dell’inferno in particolare nel girone dei suicidi e degli scialacquatori , ne è un perfetto esempio. Nel 1220 egli entrò nella corte di Federico II assumendo cosi incarichi importanti e conquistando la fiducia di quest’ultimo. Acquisì importanza grazie al ruolo assunto nella scuola poetica siciliana, e soprattutto per la sua capacità di scrivere in prosa (ars dictandi). Ma nel 1248 dopo esser stato accusato di tradimento, fu carcerato dove la vergogna lo spinse al suicidio. Analizzando i vari periodi si può riscontare ripetutamente il tema del suicidio.
Sin dall’inizio del 700 si susseguono una serie di opere che mettono in primo piano il drammatico tema del suicidio. “ I dolori del giovane Werther “ di Goethe pone il contrasto tra anima razionale e anima sentimentale. Werther dopo essersi ucciso per amore viene considerato un eroe romantico, analogo a Jacopo Ortis , il quale nella sua opera “ le ultima lettere di Jacopo Ortis” narra la fuga dalla sua città, dove si innamora di Teresa , che promessa ad un altro uomo lo porterà al suicidio. Ma diversamente, poeti come Foscolo evitarono il suicidio aggrappandosi ad ideali forti. Con il passare del tempo il tema del suicidio acquisisce sempre più importanza, altri personaggi come Bruto e Saffo seguono le idee di Ortis e Werter dando un senso eroico al suicidio. Ma c’è chi come Leopardi giustifica il suicidio considerandolo un gesto contro natura in quanto nella sua opera “ la quiete contro la tempesta” egli lo condanna duramente affermando che derivi solo da infelicità e noia. Il Decadentismo, movimento letterario caratterizzato dalla decadenza di ideali, che si afferma nel 900 , riafferma il tema del suicidio, attraverso autori come Italo Svevo. Durante la prima guerra mondiale , con la figura di Ungaretti si riaffronta il tema del suicidio dal punto di vista esistenziale, infatti lo considera un atto di resa e di rinuncia.
CULLURA’ ALESSANDRA & GANCI SOANAH III E
Pier delle Vigne, fido consigliere di re Federico II di Svevia viene posto da Dante nel secondo girone: quello dei suicidi e degli scialacquatori. Lui, vittima dell’invidia degli altri cortigiani della corte siciliana, era veramente destinato a sopportare una così crudele pena? Trasformato in una pianta viene dilaniato dalle perfide Arpie, che utilizzano quegli arbusti, e quindi parti del suo corpo, per costruire i loro nidi. Questa è la pena che devono scontare i suicidi nell’inferno dantesco per aver rinunciato in vita al bene più prezioso di cui disponevano. Pier delle Vigne, tuttavia, è consapevole del suo gesto e dopo aver maledetto i calunniatori che lo indussero al suicidio, spiegherà la pena che devono scontare.
Nel corso della storia il suicidio ha assunto significati del tutto diversi in base al tipo di società e alla cultura di un determinato periodo. Per i Greci era visto come un atto di coraggio che nobilitava l’animo umano, e come una consolazione in quanto implica il ricongiungimento con i propri cari già defunti. Questo aspetto ce lo testimonia il filosofo ateniese Socrate, che accusato di empietà e di corruzione, verrà condannato a morte. Lui affronterà la morte con coraggio tanto che preferirà uccidersi bevendo del veleno piuttosto che fuggire dalla sua città. Su esempio di Socrate, Seneca, nella morte vede un gesto di liberazione dai mali dell’esistenza. Seneca, come pure in seguito Catone l’Udicense, si ucciderà a causa della società che non dava spazio ne alla libertà di pensiero, ne ad un adeguato sviluppo della cultura.
In età moderna il suicidio deriva non più dalla mancanza di cultura, ma da altri motivi quali l’amore, la sofferenza e la depressione: ad esempio, nel ‘700 Foscolo scrive “le ultime lettere di Jacopo Ortis” in cui i protagonista per l’amore che provava per una donna promessa ad un altro uomo. Nell’800 il suicidio si trasforma in un gesto eroico che aiuta a trovare una libertà interiore. Leopardi sviluppa nelle sue opere due aspetti contrastanti del suicidio: nelle “canzoni del suicidio” narra di suicidi civili ed esistenziali; ne “la quiete dopo la tempesta” è invece visto come un gesto di codardia e un’azione inutile. Questo punto di vista è lo stesso anche per il filosofo Schopenhauer, che per rimediare alle sofferenze del mondo, trova come unica via d’uscita il suicidio. Nel ‘900 il suicidio assume la freddezza e quel senso di crisi che caratterizzò la società di quel periodo e che portò alla nascita del Decadentismo. Maggio esponente di questa corrente letteraria è Pirandello che, a causa della decadenza degli ideali, accetta unicamente il suicidio o la pazzia. Il ‘900 è caratterizzato da numerose guerre che influirono sulle vite di coloro che le hanno vissute in prima persona. Ad esempio Ungaretti, in una delle sue poesie scritte durante il primo conflitto mondiale, narra della morte di un suo compagno arabo derivata dalla solitudine e dall’esclusione sociale di quest’ultimo.
Lizzio Leonardo III E
Suicidio: volontaria uccisione di se stesso.
Questa definizione di dizionario, rivela un tema assai profondo da affrontare, che quotidianamente si presenta anche nelle nostre notizie di cronaca (sui giornali e in televisione); non è però una pratica moderna per porre fine alla propria esistenza, ma tracce di questa sono riscontrabili anche percorrendo la strada dei secoli passati.
Anche Dante affronta, nel XIII canto dell’inferno, la tematica del suicidio, incontrando Pier Della Vigna, collocato nel secondo girone del sesto cerchio; qui il poeta condanna le anime suicide alla prigionia eterna, trasformandole in piante secche. Questa trasformazione segue il pensiero dantesco, secondo il quale questi peccatori, essendosi separati dal proprio corpo in vita, sono condannati lontano da esso, all’interno di piante che li facciano soffrire.
Dopo aver studiato giurisprudenza a Bologna, Pier Della Vigna entra presso la corte di Federico II dove, acquistando sempre maggiore fiducia da parte di quest’ultimo e riscuotendo presso di lui numerosi favori, riceve così cariche politiche di rilievo. La sua importanza, molto invidiata dagli altri cortigiani (diventò uno degli autori più in vista della scuola poetica siciliana), indusse questi all’organizzazione di una congiura con l’accusa di tradimento. In prigione, dove era stato confinato, Pier Della Vigna compie l’estremo gesto; uomo giusto, ma incapace di esercitare il male a lui rivolto su altre persone, finisce per ritorcerlo su se stesso, uccidendosi.
Dante, come la religione cristiana, condanna il suicida come un peccatore, in quanto non rispetta il dono offertogli da Dio, quale la vita, a cui solo lui può porre fine.
Come già detto, la pratica del suicidio, non è diffusa solo ai giorni nostri, ma affonda le sue radici nei secoli più lontani, anche precedenti alla nascita di Cristo;nel corso del tempo è stata però sempre valutata e considerata in modo diverso.
Partendo dalle polis greche, nelle quali svolsero le loro attività un gran numero di filosofi dalla Roma precristiana, Seneca considera, per esempio, il filosofo ateniese Socrate, un uomo coraggioso in quanto, non essendo più libero non può applicare le virtù; il filosofo aveva infatti trascorso la propria esistenza alla ricerca della verità, ovvero del bene, e la morte era parte integrante del suo pensiero filosofico. Accusato di empietà, inganno e corruzione e non volendo fuggire dalla propria città, viene indotto al suicidio; beve dunque una pozione a base di cicuta, che gli assicura morte certa ed immediata. Ammirando Socrate per l’esemplare forza d’animo dimostrata verso un suicidio ingiustamente imposto, Seneca trova la risposta migliore all’accusa di Nerone di aver preso parte alla congiura dei pisoni, togliendosi la vita (anche se costretto al gesto);credendo che la vita dovesse essere vissuta qualitativamente e non quantitativamente e quindi al conseguimento della sapienza, reputa che tutti coloro che avessero riflettuto in ugual modo, avrebbero condotto una vita esemplare.
Sulle stesse orme di Socrate e Seneca, anche Catone l’Uticense, pronipote di Catone il Censore, segue la strada del suicidio, trovando però ammirazione da parte della tradizione classica e dello stesso Dante; il poeta lo colloca infatti nel purgatorio, di cui ne diventa il guardiano, benché fosse pagano, suicida e anticesariano. L’apprezzamento di questa figura deriva dal fattoche egli abbia preferito rinunciare alla vita più che alla libertà.
Proseguendo lungo il nostro tragitto storico, la tappa successiva è il periodo settecentesco, nella Germania del XVIII secolo: qua il letterato tedesco Goethe, attraverso un componimento, I dolori del giovane Werther, contenuto nello Sturm und Drang, affronta l’argomento raccontando le pene d’amore di Werther, che lo porteranno al suicidio.
Nonostante il gran numero di personaggi rilevanti nella storia del settecento che posero fine alla loro vita, continuando il nostro percorso, giungiamo ai suicidi dell’ottocento.
Rimanendo sempre in territorio tedesco, ma spostandoci dal campo letterario a quello artistico, incontriamo l’esistenza sofferta e contorta di uno dei più noti, anche per la sua ambiguità, e incompresi pittori di tutta l’arte ottocentesca e non solo: Vincent Van Gogh.
Condannato in questo periodo, il suicidio viene considerato da molti illustri del tempo, come Leopardi e Schopenauer, un gesto di codardia per fuggire dall’infelicità e anche un’azione inutile e stolta.
Per concludere il nostro viaggio incentrato su questa cruda tematica, ci soffermiamo sul secolo scorso, dove gli studi psichici influenzano gli scrittori affermatisi nel periodo.
Italo Svevo, per esempio, vede il suicidio, come simbolo di evasione, mentre Ungaretti lo reputa un gesto dovuto allo sradicamento culturale che porta ad una crisi di identità ed infine all’inevitabile atto (il poeta afferma ciò influenzato anche da un episodio personale della sua vita, relativo alla morte di un suo amico).
Tornando ora ai nostri giorni, possiamo renderci conto che, benché questo gesto venga spesso compatito, così come l’individuo che l’ha compiuto, sia sempre la rinuncia a un dono unico ed irripresentabile, che è la vita.
Francesca De Giorgio
Maria Maccherone
IIIE
Nel secondo girone del settimo cerchio (suicidi e scialaquatori) Dante e Virgilio si trovano in una selva orribile popolata da feroci cagne che corrono tra gli alberi contorti, su cui nidificano le mostruose arpie. Il poeta spezzando il ramo di uno degli alberi dal quale escono sangue e rimproveri, comprende che in realtà in quelle piante sono imprigionate le anime dei peccatori.
A lamentarsi è Pier delle Vigne il quale fu un fedele servitore della corte di Federico II di Svevia. Colpito da calunnie e da false accuse cadde in disgrazia e finì con il suicidarsi. La legge del contrapasso condanna i suicidi a vivere da arbusti e dopo il giudizio universale, al contrario degli altri peccatori, non potranno riavere il corpo di cui si sono privati, ma appenderli sinistramente ai loro rami.
Il tema del suicidio viene ripreso da molti altri autori e poeti: Ungaretti nella poesia “In memoria” parla del suicidio dal punto di vista esistenziale. Egli considera il gesto del suo amico un segno di resa e rinuncia;
in Germania, dopo la pubblicazione del componimento letterario di goethe “I dolori del giovane Werther”, per contenere l’ondara di suicidi che ne seguirono fu censurato. L’autore descrive il contrasto tra anima razionale e anima sentimentale. Il tema è l’infelice passione d’amore che porterà al suicidio: “Certo è più facile morire che sopportare con fermezza una vita dolorosa”. Ne “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, Foscolo riprende lo stesso tema;
nell’’800 il suicidio è un tema diffuso ed è legato alla perdita delle illusioni. L’elemento caratterizzante del periodo è il suicidio eroico.
Leopardi condanna il suicidio, visto come gesto di codardia dinanzi all’infelicità e alla noia, che ioltre crea dolore a propri cari.
Dal punto di vista filosofico, il suicida esprime il contrario di ciò che vuole dimostrare: il suo amore per l’esistenza attraverso la breve e tortuosa avventura tragica della vita.
Dante assume pienamente una morale cristiana la quale condanna il suicida come peccatore poiché Dio gli ha donato la vita e lui solo può porne fine.
Sara Fichera
& Manuela Fichera
Dante e Virgilio si inoltrano in un bosco buio e macabro,si trovano all�interno del VII cerchio del II girone, dove vengono puniti i suicidi di gente che rifiutando il proprio corpo � costretta a vivere come vegetale all�interno di una pianta secca e non verde dove sulla quale vi si insediano le Arpie coi loro nidi,creature mostruose e deformi (donne-uccello).Il poeta parte dal riferimento ad una selva orribile,� come se ci si trovasse all�interno di un incubo pieno di piante dalle quali fuoriescono sangue e rimproveri,gli unici esseri viventi sono le Arpie.
Dante, inoltrandosi all�interno della selva, incontra un personaggio, un poeta,uomo di corte, Pier delle Vigne,nato a Capua nel 1190, il quale percorse una carriera splendida occupando posizioni importanti, si trova li a causa di un destino atroce,che spezz� i suoi forti ideali, condannandolo alla vergogna eterna, sar� proprio questa la causa del suo suicidio, Dante intraprende un dialogo con lui, chiede il motivo della sua presenza in quel girone Pier risponde che al suo tempo era un uomo di grande fama, il destino per� volle che questa fama gli si ritorcesse contro, tanto da esser accusato di tradimento nei riguardi del proprio signore Federico II, ma ribadisce pi� volte la sua fedelt� a Federico e si dichiara innocente,difendendo proprio colui che lo ha deposto e ne ha decretato l�incarcerazione.Pier, crede che con la morte avrebbe potuto evitare la vergogna ed infatti commette un�ingiustizia contro se stesso, il suo nome giace ancora nel disonore e il potere dell�invidia si protrae oltre la morte.
A conclusione di ci� possiamo affermare che Pier fu un uomo capace di farsi strada, di intraprendere lavori importanti ma fu fin troppo debole proprio nel momento in cui doveva essere pi� forte e lottare per la sua fedelt�.
Il tema trattato nel canto XIII � il suicidio, visto diversamente nei secoli successivi a Dante. Goethe � uno dei rappresentanti del 700 che ci mostra il tema del suicidio in quel periodo attraverso �i dolori del giovane Werther�, dove descrive alla perfezione il contrasto tra anima razionale e anima sentimentale:Come ogni eroe romantico ha una profonda sensibilit� di passione e amore per la vita, che lo porteranno a suicidio.Ne �le lettere di Jacopo Ortis� Jacopo � fuggito dalla sua citt� e rifugiatosi in un�altra citt� si innamora di Theresa, gi� promessa in matrimonio ad un altro, si suicida pugnalandosi al cuore, oltre la delusione d�amore ci si aggiunge anche la politica riguardante la cessione della sua patria, alla quale egli era molto legato. Dietro Werther c�� la Germania dell�assolutismo principesco, dietro Ortis c�� l�Italia dell�et� Napoleonica. Foscolo a differenza dei due non si suicid� poich� si aggrapp� a ideali forti ingannandosi con l�amore, la poesia e la bellezza.Il suicidio nell�800 � legato alla perdita di illusioni, Bruto e Saffo sono i rappresentanti di questo periodo, incarnano il modello del suicidio eroico. Leopardi giustifica il suicidio e non lo considera un gesto contro natura. All�interno delle �canzoni del suicidio� si cantano le vicende di due figure greche e romane. Bruto narra un suicidio civile, egli ha illusioni e ideali alti e irrealizzabili, mentre Saffo narra di un suicidio esistenziale egli possiede un corpo sgraziato con all�interno un animo sensibile.
Il suicidio � un errore perch� provoca dolore ai superstiti rendendo la loro vita insopportabile. Secondo Leopardi il suicidio viene inteso come azione inutile e stolta, anche se in fondo il suicida esprime il suo amore per l�esistenza.
All�interno del 900 il suicidio assume una particolare importanza dovuta alla crisi del secolo. I primi del 900 furono caratterizzati dal Decadentismo, movimento letterario a cui appartiene Pirandello secondo il qule l�uomo non ha altra via d�uscita che il delitto o il suicidio,oppure pu� fingersi pazzo in modo da vivere liberamente. Ungaretti invece affronta il tema esistenziale del suicidio tanto da considerare il suicidio dell�amico un gesto di resa e rinuncia.
Serena Romeo III E
Nel canto XIII della Divina Commedia viene citato da Dante, Pier dalle Vigne,uomo giusto che è stato vittima degli altri poiché colpito da calunnie e da accuse ingiuste.Fu colui che cadde in disgrazia a causa dei cortigiani invidiosi,e si suicidò.Ma prima di fare ciò maledisse tutti i suoi nemici e difese l’onore del suo re,dicendo a Dante di raccontare tutta la verità.Questo uomo suicida era anche un poeta ,ed il signore di Federico II di Sevia.
Nel corso della storia il suicidio ha avuto significati e interpretazioni diverse,in base alla società e alla cultura nel tempo.Per esempio abbiamo Bruto e Salfo coloro
che incarnano il suicidio eroico teorizzato dallo stoicismo(Seneca). O un poeta come Leopardi che giustifica il suicidio e contesta quelli che lo considerano un gesto contro natura,dimostrandolo anche nella sua poesia:”La quiete dopo la tempesta”.
Ma si parla di suicidio anche in un dialogo tra due filosofi neoplatonici e si dice che il suicidio è un errore,una viltà, perché provoca dolore nei superstiti rendendo loro più insopportabile la vita,ma è anche un ultimo grido di vita ed una via d’uscita. Nel 900 il suicidio assume una particolare importanza per la crisi del secolo e grazie ad autori come Schopenhauer che affermano la coscienza della crisi dei valori morali tradizionali.I primi del 900 furono caratterizzati dal Decadentismo,movimento letterario connotato dalla decadenza di ideali a cui appartiene Svevo. Secondo Pirandello l’uomo non ha altra via d’uscita che il delitto o il suicidio,oppure fingersi pazzo ed esprimere liberamente le proprie idee,raggiungendo la libertà.E anche Socrate,scelse di darsi la morte bevendo un pozione di veleno(la cicuta),piuttosto che sottrarsi alle leggi dello stato.
La poesia in memoria di Ungaretti affronta il tema del suicidio dal punto di vista esistenziale,considerando il suicidio dell’amico un gesto di resa e rinuncia.
Manuela Stiro III E
SUICIDIO:
Possiamo riscontrare i suicidi anche nell’inferno, dove Dante incontra Pier Delle Vigne, che dopo i suoi studi di giurisprudenza a Bologna entrò nella corte di Federico II, svolgendo incarichi notarili, riuscì ad avere la fiducia dell’imperatore. Divenne capo della cancelleria, fu anche tra i più noti poeti della scuola siciliana, insegnò l’ars distandi, ossia l’arte dello scrivere in prosa. Nel 1248 fu accusato di tradimento, l’arrestarono e dopo poco si suicidò. I motivi dell’accusa sono ignoti, ma Dante crede che fu vittima di una congiura di palazzo da parte di altri cortigiani, gelosi dei favori e della fiducia di Federico II nei suoi confronti. Probabilmente fu questo che portò Pier al suicidio. Così un uomo colto e giusto passo dalla parte del torto, commettendo un peccato, considerato da Dante, capitale. Infatti troviamo Pier tra i suicidi nel XIII canto dell’inferno, poiché togliendosi la vita rinunciò a se stesso e alla possibilità di stare tra i beati. Quando Dante giunge in questo canto, entrando nel secondo girone, trova i suicidi trasformati in sterpi, poiché secondo la legge del contrappasso le anime dei suicidi sono costrette a rimanere eternamente all’interno delle piante, poiché avevano rinunciato al loro corpo nella vita terrena. Inizialmente Dante non capì cosa fossero quelle sterpi, e perché si trovassero lì. Camminando tra esse Dante non comprendeva il motivo per il quale si udivano urla senza la presenza di alcuno, infatti non sapeva da dove provenissero, così sotto consiglio di Virgilio Dante trappa un ramo da una sterpe, dalla quale uscì del sangue e delle voci. Così inizia il dialogo fra Dante, Virgilio e Pier Delle Vigne, il quale racconta la sua storia. Nella storia possiamo trovare anche altri esempi di suicidio come Socrate, che si uccise con la cicuta, poiché fu condannato dalla polis con l’accusa di empietà, corruzione dei giovani, ateismo. Socrate scelse di morire piuttosto che scappare rinnegando le leggi ateniesi, poiché per lui i filosofi non devono fuggire di fronte alle avversità ma dare l’esempio, al contrario degli altri uomini. Morì in carcere circondato da amici,discutendo sull’immortalità dell’anima. Anche allora il suicidio non era considerato giusto, perché andava contro gli dei. Ma ciò non vale per Socrate poiché il suo può essere considerato un “suicidio forzato”. Un altro esempio e Seneca, che apprezza molto Socrate, il quale morirà nel medesimo modo. L’accusatore di Seneca fu Nerone nel 65 d.c. , il quale lo accusò di aver partecipato alla congiura di Pisano. Seneca sostiene che di fronte alla fugacità della vita non bisogna rimandare a dopo ciò che è possibile fare ora. La sua opera è un dialogo interiore, di un uomo che si accinge alla morte, inoltre, essa è divisa in 124 lettere. Seneca non condanna il suicidio, poiché sostiene che non è importante quanto si vive ma come, quindi sono irrilevanti le cause della morte. La morte è la liberazione dai mali dell’esistenza. Viene da pensare, perché non tutti vengono puniti per il loro suicidio? Ad esempio Catone viene considerato un modello di virtù. Come riferimento letterario troviamo nel 700 l’opera “I dolori del giovane Werther”, la quale racconta dei suicidi che avvennero. Per questo fu ritenuta immorale. Nell’opera viene descritto il contrasto fra anima razionale e sentimentale. Un altro riferimento letterario è “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, dove anch’egli si suicida per porre fine al suo dolore. Mentre diversamente da Jacopo, Foscolo non si suicidò, poiché si aggrappò a ideali forti, utilizzando la filosofia delle illusioni. Nell’800, il tema del suicidio è molto importante, legato alla perdita delle illusioni. Ad incarnare il tema del suicidio erotico troviamo Bruto e Saffo, teorizzato dallo stoicismo quale gesto di libertà interiore. Leopardi giustifica il suicidio e va contro la concezione che lo ritiene contro natura. Nelle “Canzoni del suicidio” viene narrata la storia di Bruto e Saffo. Essi sono due personaggi della classicità greca e romana, rappresentano le delusioni leopardiane. In quest’opera il suicidio assume un carattere esistenziale e individualistico. La visione del suicidio cambia con Plotino e Porfirio, due filosofi che si soffermano a riguardo, anche perché Porfirio vuole uccidersi, perciò egli ne difende la validità. Mentre per l’altro, pur accettando la sua tesi, lo ritiene un errore, perché provoca dolore a coloro che rimangono in vita. Anche Leopardi ne “La quiete dopo la tempesta” condanna il suicidio, poiché crede che sia un atto di codardia. Questa opinione è condivisa anche da Schopenhauer. Secondo il filosofo tutto l’universo soffre. E la sola via d’uscita è il suicidio anche se non la considera. Inoltre ritiene che il suicida esprime il contrario di ciò che vuole dimostrare, ossia l’attaccamento alla vita. In fine nell’800 troviamo la figura di Van Gogh, la cui vita tortuosa lo condurrà a una lunga depressione seguita dalla morte. Nel 900 il suicidio continua ad essere molto influente anche grazie allo sviluppo di una società di massa. Si afferma così la crisi dei valori morali tradizionali.”Una vita” di Svevo si muove nella freddezza del mondo cittadino, in alternativa a ciò si sviluppa la fantasia, il sogno diviene evasione. Egli appartiene a un movimento letterario, il decadentismo, in cui troviamo la decadenza di ideali. Per quanto riguarda l’ambito del teatro italiano, Pirandello afferma che l’uomo non ha che il suicidio come via d’uscita, oppure fingersi pazzo per poter esprimere le proprie opinioni. Le sue opere sono di denuncia al sistema sociale. La poesia “In memoria” di Ungaretti, stilata durante la prima guerra mondiale, tratta del suicidio dal punto di vista esistenziale. In essa racconta la storia dell’amico Moammed Scaeb, la quale si conclude con il suo tragico suicidio. Il suicidio è stato spesso considerato qualcosa di immorale, ingiusto e inizialmente anche un peccato mortale, sebbene la Bibbia non contenga a tal proposito esplicite enunciazioni teoriche, il suicidio è valutato negativamente.
Laura Pennisi
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